Dott.ssa Daniela Braghieri – Dott. Angelo Granata
Scrivere un articolo che tratti dell’Omeopatia si è rivelato un poco più impegnativo di quanto non avessimo supposto. Il materiale non mancava, dal momento che avevamo alle spalle anni di lezioni preparate e tenute, conferenze e soprattutto lo studio della materia.
Al fine di fornire dei dati che, soprattutto a chi non la conosce, consentano di ricevere informazioni utili alla sua comprensione abbiamo scelto di pubblicare più paragrafi:
Le origini storiche dell’omeopatia.
Cristian Frederich Samuel Hahnemann – La vita e la sua intuizione
Fondamenti e metodologia
Diffusione dell’omeopatia
Par. 3 – Fondamenti e metodologia
Hahnemann era entrato in crisi perché non si sentiva in grado di curare i propri pazienti e accompagnarli verso la guarigione.
Sosteneva che lo stato di salute dipendesse dalla qualità, dalla quantità e dalla modalità di distribuzione nell’organismo della DYNAMIS termine che utilizzava quale sinonimo di ENERGIA.
I sintomi che un organismo sviluppa quando la DYNAMIS è alterata nel suo fluire, dovrebbero permettere di individuare un rimedio in grado di ristabilire un flusso corretto.
Tuttavia aveva sperimentato che non sempre i rimedi utilizzati per curare una malattia riuscivano a sconfiggerla.
Decise che sarebbe stato opportuno approfondire il fondamento di Ippocrate similia similibus curentur.
Studiò tossicologia e verificò che, solo osservando gli effetti dei rimedi curativi sull’organismo, sarebbe stato possibile comprendere come utilizzarli al meglio. Quindi iniziò a somministrarli a sperimentatori sani chiedendo loro di annotare scrupolosamente qualsiasi sintomo subentrasse durante il periodo di assunzione del prodotto, sia che si trattasse di un sintomo fisico, emotivo o mentale. Di fatto ricercò un metodo per stimolare un sistema biologico autonomo in maniera prevedibile.
Decise poi di diminuire le dosi e constatò che in tal modo non rischiava nessuna intossicazione. Comparivano i sintomi che la sostanza induceva, ma non l’effetto tossicologico.
Questo nuova metodologia si basava sul confronto tra l’insieme dei sintomi che una malattia presentava e quelli prodotti dall’assunzione ripetuta di una sostanza, quindi alla similitudine tra malattia naturale e malattia indotta.
La sua osservazione era rivolta anche ai sintomi emotivi e mentali, quindi coinvolgeva l’individuo nella sua unità psico-fisica.
La continua diluizione delle sostanze lo portò a scontrarsi con un caposaldo della chimica, ma questo non lo preoccupò e continuò le sue sperimentazioni tenendo fede al contenuto del giuramento di Ippocrate “primum non nocere”. Si andava delineando una banca dati che raccoglieva una sorta di carta di identità di ogni sostanza per diluizione.
I farmaci poco diluiti provocavano sintomi locali e fisici, mentre quelli a più alta diluizione davano sintomi a spettro più ampio che coinvolgevano anche i comportamenti della persona. Inoltre più a lungo durava la sperimentazione (proving, così fu chiamata) più era possibile raccogliere sintomi. Decise poi di classificarli in ordine di importanza poiché ve ne erano di comuni a tutti gli sperimentatori e altri che comparivano più raramente.
Nacque il termine simillimum cioè il rimedio che si basa sulla totalità dei sintomi esposti dal paziente.
Il passaggio culturale e metodologico è tale per cui viene preso in considerazione il malato e non la malattia che, come entità organica o anatomopatologica, lasciava il posto al “paziente” come persona nell’espressione della sua totalità che si ammalava di un complesso morboso dovuto ad un disordine del corpo e dello spirito. Ne deriva che in omeopatia non ha importanza il nome della malattia, bensì il malato.

Per essere certo che la diluizione avvenisse uniformemente Hahnemann la faceva a mano e arrivò a diluizioni molto alte. Notò anche che il rimedio funzionava se, oltre che diluito, veniva anche succusso, cioè agitato. Sistematizzò questo procedimento arrivando a 100 scuotimenti per ogni passaggio di diluizione che poteva essere decimale o centesimale. Acqua o alcool erano i diluenti che venivano usati a seconda della sostanza di partenza e ancor oggi la sigla CH sta ad indicare la Centesimale Hahnemaniana.
Chiamò il processo di diluizione e succussione dinamizzazione
In sintesi
un rimedio per essere definito omeopatico deve essere dinamizzato (diluito e succusso) e sperimentato sull’uomo sano.
La malattia è uno stato di adattamento biologico-emotivo-energetico a ciò che ci circonda ed interessa la persona nella sua totalità ( psico-neuro-endocrino-immunologia).
Non è quindi un fenomeno localizzato ad un tessuto o ad un organo anatomo fisiologicamente alterati.
I processi patologici non sono limitati nel tempo, indipendenti e senza una connessione con l’economia generale dell’organismo e senza rapporti tra di loro.
La salute è uno stato di benessere psico-fisico e non assenza di malattia.
La vita è retta da un’energia sintetizzante e plasmatrice (dynamis) che coordina ed organizza in un’unità funzionale gli elementi istologici, endocrinologici, umorali, biochimici, psichici, energetici dell’organismo che vengono così ad essere reciprocamente correlati. Per cui è impensabile tentare di separarli dall’economia generale senza danno per l’intero organismo.
Nello stato di salute la forza coordinatrice dell’energia irradia armonicamente in tutto l’organismo e le sue funzioni si manifestano in tutto il loro equilibrio.
La terapia
Qualsiasi azione terapeutica che agisca localmente e settorialmente senza tener conto del senso che la localizzazione ha nel paziente nella sua totalità, è una SOPPRESSIONE, non una GUARIGIONE, è una interferenza nell’azione dell’energia vitale nel suo sforzo curativo.
Il rimedio omeopatico ha il compito di stimolare la VIS MEDICATRIX a restaurare l’equilibrio che è stato perso.

L’Organon dell’Arte di guarire di Hahnemann è il testo in cui egli codificò tutto quello che scoprì durante la sua vita di ricercatore. La sesta edizione di questo testo fu pubblicata postuma ma ci informa sul fatto che Hahnemann ebbe il buon senso di continuare sempre a mettere in discussione se stesso: ogni edizione corregge le precedenti.
L’omeopatia si rinnova progressivamente, oggi noi non usiamo gli schemi terapeutici di Hahnemann, ma i suoi concetti con gli strumenti attuali. L’omeopatia ha uno spazio nel patrimonio curativo che non è per nulla alternativo né all’allopatia né a tutte le altre tecniche di trattamento naturale di cura della persona. Al centro c’è sempre il malato, non deve essere la tecnica al centro dell’osservazione. L’omeopatia è una medicina integrativa, non alternativa. Il curare o il prevenire passa attraverso una miglior conoscenza del paziente. L’omeopatia privilegia il paziente e la propria situazione individuale.
A proposito della totalità del paziente, Hahnemann ebbe un’altra considerazione: se ognuno vive una patologia a modo proprio, vuol dire che in qualche maniera il terreno costituzionale su cui queste cause scatenanti agiscono è differente, e quindi bisogna considerare anche quel terreno!
In questo terreno bisogna osservare dove e quando si scatenano determinate situazioni. Ci si deve basare di più sulla presa in carico del malato. Perché ci si ammala in un certo modo dunque? Si ritorna ai soggetti biliari flemmatici e melanconici sanguigni ecc. di Ippocrate e Hahnemann li confronta con le scoperte del suo tempo e, soprattutto guardando anche al mondo animale, si accorge dell’esistenza del principio dell’omeostasi secondo cui l’organismo vivente è strutturato in modo da potersi garantire un percorso di recupero dell’equilibrio a prescindere dalle condizioni.
Ma se questo è un meccanismo, vuol dire che svolge un lavoro nell’economia della persona e come tale necessita di energia. Siamo alla fine del 1700 e il concetto di energia non è quello di Einstein a noi conosciuto, Hahnemann si riferisce a questa energia con un concetto molto ampio, ovvero l’energia vitale, qualcosa che sostiene la vita.

Energia vitale è l’insieme di corpo, mente, psiche e anima del soggetto e prende in considerazione l’energia chimica fisica emozionale. Noi oggi sappiamo la suddivisione tra emisfero dx e sx per quanto riguarda la finalizzazione operativa dei lobi frontali, ma si tratta di conoscenze degli ultimi 10 anni. Sempre energia è. Misurabile che sia o meno. L’energia dei sentimenti nessuno la può negare. In tutto questo noi abbiamo un’unificazione che ci porta a sottolineare l’importanza del terreno come cofattore nel processo di patologia e quindi del terreno come cofattore nel processo di terapia.
Con le ultime informazioni a livello di fenotipizzazione ci si sta spostando verso una chimica del farmaco ad personam che tenga conto dell’aspetto genetico di ogni persona. Si tratta in realtà della messa in pratica di intuizioni di anni precedenti di persone che non avevano come oggi i mezzi e che quindi andavano per tentativi. E questi tentativi avevano portato alla formazione di due diverse teorie:
– la teoria miasmatica: appartiene ad Hahnemann in persona e si occupa del come un paziente indirizza la propria patologia;
– la teoria costituzionalistica: dei successori di Hahnemann di inizio 1900, soprattutto di scuola francese, che si occupa del come sia strutturata la persona, il corpo, e quindi individua gli anelli deboli soggetto per soggetto e vede quali sono gli organi più esposti alla patologia.
Noi ci occuperemo solo del concetto fondamentale: la reattività dell’individuo. Cosa porta il soggetto a vivere in un certo modo una malattia? Hahnemann si preoccupava di analizzare quali fossero le condizioni che portassero un soggetto ad esser più predisposto a certe patologie rispetto ad altri. Ci sono dunque organismi con una reattività alta, altri con una reattività bassa, ed altri ancora con una reattività disarmonica e ognuno di questi soggetti in qualche modo manifesta in modo fisico la propria tendenza. Teniamo presente che l’energia è qualcosa che non si crea e non si distrugge, ma si trasforma e questa energia è quella che sostiene un lavoro. Il lavoro è qualcosa che prevede un prima e un dopo, una trasformazione che varia da persona a persona e questo porta all’individualità morbosa.
Abbiamo parlato di individualità morbosa e stiamo quindi ancora parlando del malato e non della malattia, stiamo parlando di un soggetto nel quale le diverse ripartizioni di queste componenti energetiche possono spostare la curva di crescita e di mantenimento dello stato di salute verso ambiti e aree leggermente diverse l’uno dall’altro; vuol dire che stiamo parlando di un soggetto nel quale un tenore di vita e di energia alto può sostenere una fase di adattabilità caratterizzata dalle tendenza ad avere dei sintomi di tipo centrifugo, ovvero se il soggetto ha una quota energetica elevata ha una buona possibilità di mantenere attive le sue funzionalità organiche.
Vuol dire soprattutto che, se hai un sistema immunitario ben alimentato e delle vie di eliminazione ben funzionanti, tante tossine vengono eliminate senza problemi. È quella che si definisce fase elastica, nella quale le patologie sono modeste e hanno sempre esito favorevole, la prognosi è sempre positiva. Si parla il più delle volte di patologie funzionali nelle quali ci può essere una restituzione ad integrum senza grandi deficit funzionali dopo. Ma se questa fonte di energia già di per sé nell’individuo è carente, andremo verso una situazione nella quale non saremo più in grado di eliminare la causa della malattia, ma cominciamo a conviverci. Andremo verso le patologie da ritenzione: sono una reazione di adattamento in cui si smettono di usare le vie di sfogo, e si va verso l’accumulo che porterà a patologie non più funzionali, ma lesionali. Queste richiederanno trattamenti diversi: si tratta qui della via verso la cronicità. Se questa cronicità non ritrova una forma di equilibrio, si va verso una situazione degenerativa, nella quale la quantità energetica dell’individuo non è più in grado di sostenere un equilibrio compatibile con uno stato di buona salute, e ci troviamo tutta una serie di patologie irreversibili evolutive (Alzheimer, insufficienza renale, demenze ecc.) con prognosi il più delle volte infausta. Il tutto legato alla quantità di energie che il nostro individuo ha a disposizione. Ed è su questo che Hahnemann lavorò, dando dei nomi a quelle tre fasi, che oggi appartengono alla teoria dei sistemi applicati all’uomo, e definendole con dei nomi attuali per quell’epoca:
– psora: ovvero sintomi cutanei (es. orticaria)
– sicosi: sintomi da ritenzione debilitante (es. gastrite atrofica)
– lue: sintomi degenerativo/lesionali (es. ulcera vascolare o neuropatica)
Si parla dunque di segno di lesione reversibile (orticaria), di segno di lesione irreversibile ma benigno (gastrite) e di segno di lesione evolutivo irreversibile distruttivo (ulcera).

È chiaro che Hahnemann cercava sempre l’origine, la causa del come mai la maggior parte delle persone ha questi tre tipi di evoluzione. Probabilmente c’è qualcosa nell’ambiente che dà una spinta verso questa reazione. Oggi diremo che ci sono probabilmente una serie di sostanze e di situazioni che potrebbero essere le cause, ma come vedremo non saranno nemmeno queste ma ben altre, che in qualche maniera obbligano un organismo ad avere una determinata reazione. Teniamo presente che quando si parla di inquinamento da antibiotici, si parla di quelli che assumiamo inconsapevolmente giorno dopo giorno dagli alimenti, non quelli che ci vengono prescritti dal medico e che assumiamo in modo consapevole.Ci interessa vedere come queste tre fasi di passaggio assumano caratteristiche diverse a seconda dell’individuo che contrae una particolare patologia. Sono tre fasi evolutive che tutti passiamo: tutti partiamo con un patrimonio energetico che strada facendo si consuma, tuttavia questo patrimonio energetico ognuno di noi lo usa in modo diverso perché ciascuno di noi ha una sua peculiarità.
La colite è uguale per tutti, però cambiano i sintomi e le modalità da persona a persona. È un problema che riguarda l’evoluzione dell’uomo: è da osservare come nell’evoluzione dell’uomo abbiamo delle scale temporali diverse che determinano delle reazioni diverse in ogni individuo; troviamo:
– la scala temporale lunga genetica, che si trasmette di generazione in generazione: sei fatto così e quindi morirai così;
– la scala temporale media è quella delle varie fasi di vita: l’adolescenza, la senectute, la maturità;
– la scala temporale breve invece sono le reazioni del nostro sistema vegetativo 24 ore su 24.
Quindi, quando vediamo una persona dobbiamo sempre porci il problema di quella persona qui e ora, il momento attuale. Il paziente ha mal di testa? Cerchiamo di capire che persona è per capire il suo mal di testa. Il dopo è l’obiettivo che ci dobbiamo proporre. Migliorare la persona è l’obiettivo.
Tutto questo prende il nome di anamnesi, ovvero la conoscenza della storia del paziente, che può essere breve, lunga a seconda della situazione, ma comunque la storia della persona e quindi l’attuale visto come evoluzione da un come si era prima e come si è ora. Prima com’era? Analisi del prima, durante e dopo la malattia. Il durante, cioè il disturbo, è una fase di adattabilità al fatto che prima stava bene e ora no.
Darwin diceva che la natura è equa e che nella storia evolutiva gli eventi accadono per caso. Le mutazioni genetiche che portano ad un vantaggio capitano per caso e se si è in grado di sfruttare quel vantaggio lo si può poi trasmettere alla progenie e questo è il passaggio evolutivo, ma in ogni caso tutti questi eventi sono mirati ad un unico obiettivo che è quello che noi trattiamo con i farmaci: sostenere l’esigenza dell’istinto di sopravvivenza dell’uomo.
L’istinto di sopravvivenza è quello che porta a cercare una soluzione ai problemi: se un vantaggio può essere passato alla progenie allora la specie si evolve e il ventaglio si allarga.
L’istinto di sopravvivenza è quindi l’istinto primario. È qualcosa che appartiene a qualsiasi organismo vivente e che sfugge al nostro controllo razionale perché sotto controllo del sistema nervoso autonomo e delle sue due componenti, il sistema simpatico e parasimpatico, che agiscono in sincronia per arrivare a trovare l’equilibrio funzionale ottimale. Per esempio, la tosse catarrale non è altro che un meccanismo finale che porta come finalizzazione all’eliminazione dei batteri che hanno invaso il nostro territorio organico. Chiaramente, questo sistema neurovegetativo per lavorare necessita di energia e, in questa produzione energetica, la fa da padrona l’età del soggetto. I giovani ad esempio hanno una produzione energetica sempre in bilancio attivo, dimostrata dal veloce sviluppo dalla nascita all’età adolescenziale. Una volta raggiunta la fase finale dell’adolescenza, abbiamo una fase stazionaria, poi pian piano la curva di produzione energetica tende a calare e con essa tutte le funzioni organiche tendono a ridursi. Ma tutto questo noi lo dobbiamo vedere anche non solo in termini di produzione ma anche in termini di resa energetica, che con gli alti e bassi, giorno per giorno, avrà comunque una curva media che parte da una resa elevata in giovane età e man mano scende. In giovane età si ha la massima disponibilità di energia a carico dei propri organi, si sta meglio e ci si ammala meno e la gestione energetica viene monitorata e usata dal sistema neurovegetativo che sposta i flussi di energia da un settore all’altro aumentando o diminuendo la funzionalità organica di quel settore.

Questi flussi energetici ci sono perché abbiamo due strutture che ne gestiscono la produzione. Il sistema neurovegetativo non fa altro che spostare gli equilibri, ma la fabbrica dipende dall’attività della tiroide e del surrene, che gestiscono tutte le catene di produzione metabolica. E quindi queste funzionalità dell’asse tiroideo e dell’asse surrenalico sono quelle che maggiormente implicano una capacità produttiva da parte dell’individuo. Possiamo avere soggetti nei quali i vari sistemi simpatico, parasimpatico e neurovegetativo sono in equilibrio, altri soggetti in cui una componente è più fiacca e l’altra più vitale, oppure altri in cui un sistema prevale sull’altro. Ma tutto questo in termini finali porterà ad avere un soggetto in maggior asse di equilibrio o più spostato sul parasimpatico e quindi sull’inibizione funzionale organica, o più spostato sul simpatico e quindi sull’eccitazione funzionale organica. Questo ci porta ad avere una considerazione: dobbiamo imparare a sfruttarre al meglio tiroide, surrene ed equilibrio neurovegetativo, ovvero essere in grado, se questo è possibile a livello di prevenzione, di auto-identificarci in una delle diverse tipologie e comportarci di conseguenza, e nel momento di intervento terapeutico dall’esterno diventa fondamentale capire che tipo di soggetto abbiamo davanti in modo da essere in grado di somministrare la sostanza più adatta.
Questo ci porta a dover necessariamente prendere in carico un’osservazione del paziente per capire come agire. Hahnemann era arrivato proprio a questo, ma nelle sue conclusioni osservava che i soggetti più iperattivi avevano una buona capacità energetica di risposta ed avevano perciò bisogno di piccoli interventi terapeutici e quindi a loro dava i suoi rimedi a basso dosaggio. Quelli invece più inibiti, che trattenevano, avevano bisogno di concentrazioni più alte e terapie più durature nel tempo, dovevano essere iperstimolati per poter giungere ad un livello di risposta ottimale.
Noi oggi su questo improntiamo il discorso neurovegetativo organico, Hahnemann non se l’era posto ma era arrivato direttamente a delle conclusioni in cui erano fondamentali l’analisi e l’osservazione dei sintomi nell’individuo che portavano allo studio del terreno e alla valutazione della costituzione di questo soggetto. Solo in questo modo poi l’analisi della persona poteva essere vantaggiosamente confrontata con la carta d’identità dei vari rimedi noti all’epoca, e in questa opera di confronto, maggiore era la similitudine tra il soggetto e la carta d’identità, maggiore era la probabilità che quel rimedio funzionasse.
Ma di quel rimedio c’erano diverse diluizioni e quindi qual era la diluizione corretta? E da qui sorge un’altra problematica. Ricordiamoci come il processo di diluizione e dinamizzazione porta ad una progressiva scomparsa della materia organica del rimedio in uso, ma ricordiamoci anche come, nei vari passaggi, si arriva ad un punto nel quale si supera il numero di Avogadro. L’oltre il numero di Avogadro è qualcosa come l’undicesima e la dodicesima centesimale. Da una parte abbiamo ancora una parvenza di materia in soluzione, dall’altra parte c’è qualcos’altro a noi sconosciuto.
In realtà abbiamo la possibilità di avere qualsiasi diluizione, ma ne vengono prodotte solo alcune che sono 4 – 5 – 6 – 7 – 9 – 12 – 15 – 30 – 200 – 1000; fino alla 9 vengono considerate basse diluizioni, 12 e 15 intermedie, dalla 30 in avanti vengono considerate alte diluizioni.
Hahnemann nelle sue sperimentazioni si era reso conto che gli sperimentatori delle basse diluizioni avevano sintomi per di più locali, mentre quelli con le diluizioni più elevate avevano un corteo sintomatologico più ricco, cioè delle reazioni comportamentali: più aumenta la diluizione, più ci spostiamo dai sintomi somatici a quelli psichici. C’è un qualcosa che dobbiamo considerare: più ci spostiamo verso il non materiale, più diluizioni sono state fatte. Hahnemann si rese conto che le diluizioni dinamizzate funzionavano, le altre no, quindi ciò che conferiva maggior capacità di risposta ad un rimedio omeopatico non era tanto la diluizione quanto la dinamizzazione a cui il rimedio veniva sottoposto. Le alte diluizioni sono tutti rimedi che hanno avuto un elevato numero di dinamizzazioni e quindi un numero di scontri molecolari sempre più alto. In qualche modo questi scontri generano un potere curativo a livello omeopatico.
Ma se parliamo di scontri molecolari, vuol dire che ci spostiamo dal campo della chimica al campo della fisica e quindi hanno ragione i farmacologi che sostengono che il rimedio omeopatico non può avere un’azione farmaco-dinamica in quanto manca di farmaco, manca di molecola. Il rimedio non avrà un’azione farmaco-dinamica ma un’azione terapeutica legata ad eventi di natura fisica che conosciamo solo in parte.
Non abbiamo una prova scientifica di qualcosa di farmacologicamente attivo a queste diluizioni, ma abbiamo tutta una serie di prove fisiche che dimostrano come ci siano delle risposte di diversa natura che dicono come i rimedi a queste diluizioni siano uno diverso dall’altro in misura tale per cui, addirittura, si possono riconoscere alcuni rimedi attraverso la misura dei loro potenziali elettrici. Come questo poi sia attivo sulla cellula umana, sull’organismo, ancora non si conosce.
Noi sappiamo che nell’organismo le molecole dispongono di un’azione perché vanno a legarsi ad alcuni siti recettoriali, cioè vanno a innescare dei meccanismi che possiamo vedere e misurare. Le reazioni fisiche sono un po’ più sfumate però, bene o male, quando misuriamo l’elettroencefalogramma, l’elettrocardiogramma ecc., noi non andiamo a misurare molecole ma forme di energia elettrica, andiamo a misurare dunque qualcosa che c’è.

Nel rimedio omeopatico andiamo a trovare delle risposte di misurazione reale, misurata tra il prima e il dopo che differenzia una diluizione 4 da una diluizione 9. Come questo poi agisca sull’organismo è tutto un altro discorso. Qualcosa, però, avviene. In qualche modo questo qualcosa agisce anche su situazioni encefaliche diverse: il cervello umano ha subito un’evoluzione, abbiamo un cervello arcaico pari all’encefalo, abbiamo un cervello successivo, il neoencefalo, e infine abbiamo la corteccia cerebrale. Il tronco cerebrale, sede dei processi neurovegetativi, è rimasto uguale nel mammifero come nel rettile. È la prima forma di cervello: sul bulbo e sul paleocervello si è poi strutturato quello più moderno sul quale poi si trova tutta la corteccia cerebrale dell’homo sapiens. Si tratta di tre stadi diversi. Nella parte più arcaica troviamo la parte neurovegetativa, all’esterno la strutturazione emotiva (ippocampo, amigdala ecc.) e, a livello dei lobi frontali e prefrontali, abbiamo l’elaborazione emotiva. I passaggi da una zona all’altra avvengono per via informativa elettrica e per via informativa chimica neuro-mediata (sinapsi ecc). In qualche maniera è probabile che questi rimedi riescano ad agire su queste terminazioni.
È un passaggio evolutivo che ci dice come con i progenitori condividiamo una struttura neurovegetativa che è rimasta identica a se stessa. Questo vuole anche dire che, in qualche maniera, condividiamo con altri esseri della natura alcune strutture che sono rimaste identiche. Molti atteggiamenti dell’uomo sono in comune con alcune specie animali. Molti atteggiamenti di sopravvivenza, ad esempio, si manifestano in modo analogo nel regno animale. La conoscenza dell’animale ha portato alla conoscenza di complessi processi umani (l’esperimento sui moscerini della frutta è uno dei più usati). Tutti i farmaci sono dapprima testati sui topi!
Gli animali ci hanno permesso di aumentare la conoscenza scientifica.
Che differenza c’è tra il neutrone dell’idrogeno e il neutrone dell’ossigeno? Nessuna. Noi siamo fatti di protoni, elettroni e neutroni, quindi tre elementi fondamentali che sono uguali per tutta la materia, messi insieme in modi diversi. Cosa li tiene legati? La forza elettronucleare, che è una forza che non ha niente di chimico. Noi stiamo insieme per mezzo di forze. La chimica è creata da forze. Esiste qualcosa che impedisce che questi elementi non passino da un individuo all’altro
.Perché dobbiamo ostinarci a pensare che solo la materia può essere causa di malattia e solo la materia può essere strumento di terapia? Se noi passiamo sul versante della psicopatologia e della psicoterapia abbiamo una serie di atteggiamenti che di materiale non hanno nulla, eppure creano dolore o benessere. Tutti elaboriamo idee che non hanno nulla di chimico, non sono molecole. Sono associazioni e reazioni interne.
Esistono molti modi di ammalarsi che appartengono a diversi mondi: al mondo chimico, mondo spirituale, mondo fisico… Allora perché solo il farmaco chimico ha ragion d’essere?
Ci sono anche tante altre possibilità. L’omeopatia non rappresenta una panacea, ma è innanzitutto un modo di vedere e analizzare la persona e di indagarne la storia. Alla fine di questa metodica si traggono delle conclusioni e sulle conclusioni si decide se usare l’omeopatia, la chirurgia o altro. Quello che si vuole sottolineare è il fatto che l’omeopatia insegna a guardare la persona sotto un altro punto di vista. Dopo l’osservazione si può decidere cosa fare.
Fine terzo paragrafo
a dicembre il quarto paragrafo: Diffusione dell’omeopatia